Cícero Dias - Pai e Filho

A letra e o sintoma…Uma história de pai e filho

Era uma vez um menininho e seu pai...

Seu pai o fazia estudar, mas ele não conseguia ler os textos que eram para aquela criança, tão cansativos ao seu olhar. Aquelas letras eram sempre incompreensíveis para o menino que apesar de frequentar a escola, se sentia um “burro”.
O tempo passou, o menino se tornou um homem e entendeu que na verdade era a letra do seu pai que ele não entendia. Ele queria atender aquele desejo, entender das letras, entender das palavras, entender dos sentimentos do seu pai, ele queria falar a língua do seu pai. 
Um pai que exigia que seu filho fosse um bom aluno na escola e tirasse boas notas.
Mas o menino não entendia. Ele não entendia as letras, as palavras não formavam frases e não faziam sentido nenhum. Era como se ele estivesse buscando nos ensinamentos da escola o que seu pai queria tanto dele naquela cobrança incessante do dever de ser um aluno exemplar.
As letras eram para o menino o que seu pai queria expressar, no entanto, era incompreensível. E como compreender o impossível?
O menino então aprendeu a ler outro texto nesta relação de amor com seu pai. Aprendeu a ler as letras que formavam outros tipos de palavras nesta comunicação de pai e filho. Aliás, ele percebeu que esta comunicação ele já compreendia muito bem há muitos anos. Ele tinha o mesmo problema de saúde que seu pai. 
A falta de ar era a forma de entender o que seu pai queria expressar. O sintoma eram as letras que formavam as palavras do impossível de se dizer. 
Ele tinha falta de ar, mas esta doença o bloqueava a vida, limitava a compreensão de novas palavras, já que faltava o ar e desta forma não podia expressar, não podia ler as letras e consequentemente nunca as poderia entender aquilo que estava escrito.
Pai e Filho - Cícero Dias
O tempo passou, seu pai morreu de falta de ar e o menino que agora era um homem, o que fez então?
Resolveu se livrar daquilo que seu pai tinha e ele tinha pegado emprestado para entender a vida. Queria viver diferente de seu pai, aliás queria viver muito mais do que ele que deixou a vida muito cedo, morrendo sufocado por palavras, sentimentos e doença. Não queria sufocar com as palavras, com os sentimentos, com a vida e muito menos com uma doença.
Descobriu, por fim, que a falta de ar não era mais necessária, já não podia mais se comunicar com seu pai e se pudesse não seria mais com a falta de ar. Aprendera a ler outras letras, outras palavras e agora sim o texto da vida fazia sentido.,
Contudo, é possível se desfazer daquilo que não é seu, daquilo que foi lhe dado, emprestado, herdado nas relações de amor, mas que nem sempre nos fazem bem. É possível, sim, seguir em frente com suas escolhas e de forma saudável, mas nem sempre é fácil e se consegue fazer sozinho. 
Fazer esta caminhada para ter qualidade de vida sozinho, muitas vezes é possível, mas do contrário é importante se autorizar a fazer algo a mais por si. Oferecer-se a possibilidade de se cuidar e se tratar é um ato de coragem e para isso muitas vezes faz-se necessário o trabalho de um profissional.
De qualquer forma, toda trajetória que vise a tranquilidade, a saúde física, psíquica e espiritual vale a pena!
Creative commons Marina Silva pelo site

Ailton Krenak ci fa riflettere ciò che è comunità e quello che è collettivo

L'intervista con il leader e scrittore indigeno, Ailton Krenak, alla Revista Periferias è stato un invito a riflettere sulla vita in società, in particolare ciò che abbiamo fatto con la vita e come conseguenza ci ha portato a questi tempi di pandemia.

Due buone sorprese mi hanno fornito questa lettura: riconoscere che le idee di Ailton Krenak sono all’avanguardia e allo stesso tempo, le idee anche salvaguardano la memoria tra il territorio e i suoi abitanti. L’altra sorpresa è stato l’opportunità di sfogliare i contenuti entusiasmanti di questa eccellente rivista, il risultato di un’organizzazione che mantiene lo sguardo alle periferie delle città. Inoltre, è stato con grande entusiasmo che ho letto un testo di Julia Sá Ears che ci fa ripensare l’importanza di quello chi siamo e quello che facciamo con il nostro discorso sociale. Come dice lei, “esercitare l’ascolto e avvicinarsi ai popoli originari non solo salvando un ricordo ma guarindo di modo graduale con la forza di queste voci forti che riecheggiano e recuperano la storia della terra silenziosa attraverso i nostri cementi”.

Anche l’intervista condotta da Jailson de Souza e Silva, direttore generale di UniPeriferias, è stata brillante. Un approccio ben diretto, soprattutto quando si chiede ad Ailton l’importanza delle biografie come riferimento di percorsi costruiti nelle nostre vite personali e sociale.

La risposta di Ailton dimostra una esperienza quasi antropologica del potenziale collettivo. “Penso che le biografie hanno il potere di evocare percorsi della nostra formazione al lungo di nostra vita, della nostra esperienza impegnata, sia nel contesto locale, quando vivete in una piccola comunità, sia quando siete in grado di estrapolare i limiti di quella comunità in cui ci sentiamo protetti dalla memoria e dalla storia, anche se ognuno di noi può sperimentarlo “.

Índia e a mulata - Candido Portinari, 1934

Un pensiero che considera, nella traiettoria della formazione dell’individuo, una serie di risultati dal contesto in cui vive. Per lui, superare i limiti della comunità è un’esperienza rara. Se sei consapevole non ci sono problemi. Ma, secondo lui, “la maggior parte di noi è stato butato via di questo ambiente confortevole, della vita familiare, dal vivere insieme nel caso di una comunità indigena, o in una di quelle comunità autonome che vivono nelle periferie sociale, quell’ambiente, in cui la vita prospera nonostante accordi politici e in generale, è come se vivessimo isolati dal mondo pianificato, dove avvengono molte invenzioni.

Queste sono invenzioni che la storia sociale non cattura. Per queste vite siano state esperienze invisibili, persone meravigliose che sono riuscite a fare crescere i loro figli, a formare una comunità, a proteggere un territorio, a creare un sentimento di territorialità dove quel complesso di scambi, famiglie, cameratismo andare d’accordo e i ragazzi crescono in questi ambienti con un tale potere, una tale meravigliosa capacità di libertà. Questo mondo è costituito come biosfera; luogo in cui quelle vite sono arrivate 100 anni fa, e ancora di più, sono sagge, persone con traiettorie ricche, ma che non si collegano con le complesse realtà del mondo globale di cui veniamo a conoscenza in seguito.

Nel mio caso siamo stati espulsi molto presto dal nostro territorio, perché vivevamo in un contesto di comunità che erano già state considerate comunità indigene integrate o che erano in processo di scomparsa. Era come il resto degli indiani sopravvissuti alla colonizzazione del Rio Doce, ma che avevano ancora modelli di organizzazione che implicavano un accesso comune alle cose. Avere accesso comune all’acqua, al fiume, al luogo in cui è possibile ottenere cibo, accesso alla socialità che ha coinvolto la vita di molte persone. Questi collettivi sono ciò che chiamano comunità. Penso che quando chiamano questi collettivi di comunità, la svuotano un po’ ‘del potere che hanno e lo danno forma a una situazione di comunità idealizzata – non possono problematizzare la vita di queste persone.

Disegnare la biografia di un tale ambiente è un modo per illuminare l’intero ambiente e proiettare un significato nella vita di tutti; i nostri nonni, zii, genitori, i nostri fratelli, amici d’infanzia. È una nave. È una costellazione di esseri che viaggiano e transitano per il mondo, non dell’economia e dei beni, ma nel mondo delle vite, degli esseri che vivono e vivono in una costante insicurezza. È come queste mentalità, queste persone bisognassero avere un mondo dilatato a provare il suo potenciale come essere umane creatore

Persone che sono cresciute ascoltando storie profonde che riportano eventi che non sono in letteratura, nelle narrazioni ufficiali e che si incrociano dal piano della realtà quotidiana a un piano mitico di narrazioni e racconti. È anche un luogo di oralità, dove la sapienza, la conoscenza, il suo veicolo sono la trasmissione da persona a persona. È lo più vecchio che racconta una storia,o il più giovane che ha avuto un’esperienza che può condividere con il collettivo a cui appartiene e questo integra un senso della vita, arricchendo l’esperienza della vita di ogni soggetto, ma costituendo un soggetto collettivo. Guarda l’intervista completa qui in portoghese

Se volete conoscere un poco di più su Ailton Krenak vedete in italiano qui

 

La risposta è estremamente profonda e serve a riflettere sul momento tragico e insolito che stiamo vivendo a causa della pandemia. Il fatto che siamo all’ostaggio di un virus mortale e questo succede nel mondo inteiro, insomma testimonia un modello sociale che è scaduto.

Attesta anche che i popoli stanno perdendo il loro selvaggio istinto di guarigione, il loro rapporto con la Madre Terra, Pachamama come lo chiamano gli indiani andini.

L’istinto selvaggio a cui mi riferisco è quello di costruire un individuo meno guerriero e più solidale, meno consumista e più semplice. Un individuo in cui la evoluzione è risultato da un’organizzazione sociale basata sul sentimento collettivo dell’esperienza affettiva, di guardare l’altro come un simile.

Nessun dogma e giudizi religiosi. Basta essere un microcosmo inserito nel macrocosmo. Voi già avete pensato dove rimuoviamo tutto ciò che consumiamo? Dove viene la materia prima? Certamente della madre terra!

creative commons by site Conjur

Lucidez do TJ-PR no caso do artista acusado de obsceno

Muita lucidez em tempos áridos para cultura e de censuras absurdas, revelou o Tribunal de Justiça do Paraná ao trancar a ação que acusava de obsceno o performer Maikon Kempinski, no espetáculo DNA de DAN. Demonstra que nem tudo está perdido!

Ao menos uma notícia boa depois do cancelamento da mostra Queermuseu, por parte do grupo Santander, em Porto Alegre, em 2017, por intolerância da extrema-direita no Brasil. Mais animador ainda é ler a análise feita pelo relator do caso,  o juiz Aldemar Sternadt, que considera “absurda e desarazoada” a ação.  Uma defesa a favor da cultura e da arte que é importante destacar, sobretudo neste momento que estamos à mercê de grupos radicais e puritanos, fundamentados em ideias retrógadas que aos poucos estão minando o desenvolvimento cultural e artístico do país.

Uma análise que o PanHoramarte não poderia deixar de reproduzir para o seu leitor. Principalmente porque a história se repete como na inquisição religiosa. 

A denúncia foi encaminhada depois que o artista protagonizou espetáculo performático com nudez artística no tradicional Festival de Dança de Londrina. E destaca que Kempinski, de forma consciente e voluntária, “realizou em lugar público espetáculo performático de caráter obsceno, denominado ‘DNA de DAN’, consistente na permanência do artista no interior de um ambiente inflável, transparente, completamente nu, sendo que, num primeiro momento, se manteve imóvel enquanto uma substância secava sobre seu corpo e, após, iniciou uma dança ritualística em interação com o público, que pode, na última hora da apresentação, adentrar o espaço cenográfico”.

Ele foi acusado com base no artigo 234, parágrafo único, II, do Código Penal, segundo o qual incorre na pena de seis meses a dois anos — ou multa — quem “realiza, em lugar público ou acessível ao público, representação teatral, ou exibição cinematográfica de caráter obsceno, ou qualquer outro espetáculo, que tenha o mesmo caráter

Fonte Conjur

Vale aqui reproduzir as palavras escritas pelo magistrado no acordão publicado neste mês de junho.

 “Inaceitável, pois, imaginar que meia dúzia de incomodados ou sensíveis com a nudez do artista, a seu talante, atrapalhassem uma apresentação artística. A arrogância e a ignorância saltam aos olhos! São pessoas que se arvoram tutores de uma população inteira, hipócritas que acreditam ter o poder de censurar o que o vizinho pode ouvir, ver e consumir!”.

O relator ainda afirma que o espetáculo não constitui crime de ato obsceno, sendo necessário observar em que contexto foi executada a performance. “A própria divulgação era bastante clara quanto ao conteúdo da encenação de maneira que compareceu ao espetáculo quem desejava. O ‘folder’ distribuído advertia sobre ‘nudez artística’ e também fazia expressa menção a classificação por faixa etária (16 anos)”. O acordão veja aqui

“O que é obsceno? A nudez? O sensual? O erótico?  As vestes sumárias nas ruas, praias e piscinas? A ausência de roupas dos mendigos e miseráveis que perambulam pelas ruas de nossas cidades?

Tenho que obscena é a nossa hipocrisia, a miséria, a corrupção, enfim, obsceno é tudo que avilta ao homem! Arte e cultura jamais serão obscenidades”. Aldemar Sternadt,

Bravo! Bravo senhor juiz! Perguntamos aos puritanos de plantão o que é mais imoral do que a fome, a miséria, corrupção e a falta de solidariedade.

A vida e a morte  Gustav Klimt - 1916

Doces lembranças na despedida

No meio de tantas notícias ruins, a pandemia também tem trazido momentos interessantes. É irônico dizer, mas fico feliz por meus avós não fazerem mais parte desta vida.

Viver o isolamento social, seria algo tão difícil para eles que precisavam tanto dos familiares por perto.Pensando nisso, me lembrei da morte da minha avó, que como toda perda de alguém que amamos foi triste, mas que gostaria de contar um pouco aqui, pois por mais estranho que pareça, me recordo dando risada.
 
Minha avó materna esteve anos adoecida com mal de Alzheimer. Quando foi diagnosticada com a doença foi muito triste para todos os filhos e netos. Sua memória sendo apagada tornava a convivência com a perda, morte e luto a cada dia, por anos de nossas vidas. O medo também fez parte de nossa caminhada por um tempo, medo de vermos nossos pais repetirem este diagnóstico ou mesmo nós os netos, sendo marcados por este destino assustador em um futuro.
Mas enfim, a morte propriamente dita efetivamente chegou. O dia que recebi a notícia do falecimento de minha avó , estava em uma conexão, no meio do caminho para minha cidade natal. Tomando um café com pão de queijo no aeroporto, chorei sozinha naquele momento e me senti muito solitária. Desejei estar perto da minha família.
Enfim, de certa forma, foi um misto de tristeza, mas também de alívio por saber que minha avó querida não estava mais presa naquele corpo e cérebro que não tinham mais suas funções adequadas para viver e a família que sempre foi muito unida, tinha se tornado um caos nas relações.
Estávamos tristes pela forma como tudo que tinha acabado. Com esta doença, não só a vida da minha avó foi terminando, mas também a união da família foi colocada em “xeque”. Porém, a questão mais estranha que aconteceu, que me fez escrever esta crônica, foi o dia do seu velório e consequentemente o enterro.
O velório como todos, acabou sendo um evento de família, onde pude encontrar tantas pessoas que há tempos não via. Quando olhei para minha avó no caixão, assim como o momento de despedida, antes do enterro e o próprio enterro, me causou uma grande dor. Chorei imensamente, chorei a tristeza de saber que há anos já não tinha minha querida e alegre vó, chorei por saber que nunca mais poderia abraçar e sentir aquele cheirinho delicioso que só ela tinha no aperto de nossos corpos.
Mas por outro lado, os demais momentos do velório foram de muita conversa e em quase todas as horas que lá estivemos, além das conversas muitas lembranças, piadas regadas com muito riso  e até com direito a gargalhadas entre primos, tios e familiares próximos. Disfarçávamos para manter a postura diante de conhecidos que chegavam para dar os pêsames, já que a morte para todos queria dizer algo muito triste.
O dia passou, o enterro aconteceu e naquele dia também estava marcada a comemoração do aniversário da minha tia. Resolvemos manter o evento, que incluía apenas os familiares próximos.
Apesar do momento de despedida triste sabíamos que aquele dia era esperado e minha tia merecia uma comemoração.
Nos reunimos mais tarde e o mais engraçado foi quando minha mãe disse: “Gente podem tirar fotos, mas não postem nada hoje nas redes sociais…” Tínhamos feito postagens de aviso da morte da minha avó nas últimas 24 horas e agora íamos postar fotos comemorando? Um tanto estranho para uma sociedade que julga sem saber o que está acontecendo de fato.
Enfim nos divertimos, rimos e brindamos o aniversário, mas também o adeus de minha querida avó que já estava cansada de viver daquela forma.
Errado ou certo, não sei dizer o que é. Para nós foi um momento lindo, divertido e emocionante. Foi necessário e verdadeiro. E sabemos que se ela estivesse junto, estaria rindo conosco.
 
Contudo, é com a ternura do amor e respeito que sempre tive pela minha avó que termino este texto e com o qual deixo também este respeito a um mundo inteiro que sofre suas perdas, sejam elas quais forem.
Que os dias estranhos em que vivemos, sejam ressignificados e cada um possa encontrar a força naquilo em que mais acredita para atravessar esta etapa.